Deposto di Amaseno

Il restauro del Deposto di Amaseno non è stato soltanto un intervento di restauro, ma il lungo ed impegnativo raggiungimento di un traguardo. Un intervento cercato e voluto già dal 2005 quando per la prima volta entrando nella Collegiata di Santa Maria Assunta ad Amaseno, insieme a Rita Bassotti, nostra insegnante presso l’ICR (oggi IsCR) e nostra cara amica, prendevamo visione di quell’”opera preziosa”, confinata nella buia navata laterale, in una teca di vetro e abbandonata all’azione devastante del tempo e dell’incuria. Da subito con la passione e la tenacia che ci caratterizza, incoraggiate e guidate dalla nostra cara Rita, ci siamo mosse nel cercare appoggio presso gli organi di competenza (Il Sindaco del Comune, la Curia e la Soprintendenza, la Provincia, le Banche locali) alla ricerca di fondi per il restauro del Deposto. Da allora, per circa 10 anni, abbiamo assistito, impotenti, all’aggravamento delle condizioni conservative dell’opera che si disfaceva sotto l’azione costante dei tarli. Fu grazie alla Dott.ssa Alessandra Acconci, dell’allora Soprintendenza del Lazio che, sollecitando il Soprintendente Dott.ssa Anna Imponente, si riuscì ad avviare nel gennaio del 2014 un “Intervento di somma urgenza”. E’ stato così possibile avviare l’intenso lavoro di recupero, conclusosi nel 2015 e che oggi abbiamo il piacere di presentare. Una lunga vicenda che forse rappresenta un po’ l’emblema di gran parte del nostro “prezioso” patrimonio culturale che ogni giorno attende, fiducioso, di essere recuperato.

Il Cristo ligneo di Amaseno è un manufatto di alta qualità artistica, fortemente legato al contesto sociale e culturale del Lazio meridionale nel basso Medioevo (XIII secolo), come ha saputo osservare e studiare attentamente la dottoressa Alessandra Acconci che ha diretto l’intervento di restauro.

 Attualmente l’opera è isolata, ma ad avanzare l’ipotesi che facesse parte di un gruppo scultoreo rappresentante la “Deposizione”, è la considerazione tecnica dell’allora ispettore di zona Luigi Salerno, funzionario della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, a seguito del sopralluogo effettuato agli inizi degli anni ’50 del XX secolo (come è riportato nella sua relazione), ma anche il ricordo tramandato da padre Enrico Giannetta, già parroco di Amaseno, secondo il quale oltre al Cristo facevano parte del gruppo scultoreo anche un San Giovanni Evangelista e una Maria Addolorata.
Il Deposto, così come ci è pervenuto, è soprattutto il risultato della modifica funzionale del suo corpo e di conseguenza, dei vari “aggiustamenti” e manomissioni perpetrati nel tempo. Gli arti sono stati resi fissi inchiodandoli al resto del corpo.
Non sappiamo, purtroppo, se nascesse come Crocifisso o come Cristo in procinto di essere calato dalla croce o, addirittura se avesse già in origine nelle braccia un sistema “a snodo” o a marionetta che consentisse la sua deposizione su catafalco una volta calato dalla croce, in occasione della settimana santa. Sicuramente le gambe sono state “raddrizzate” con l’inserimento di nuovi inserti mentre probabilmente in origine erano semi piegate.

Gli unici documenti storici pervenuti sono quelli relativi all’intervento di restauro degli anni Cinquanta del XX secolo, condotto da due restauratori formatisi presso l’allora Istituto Centrale per il Restauro, Carlo Matteucci e Decio Podio. Intervengono in seguito al sopralluogo effettuato dal funzionario della Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie del Lazio Luigi Salerno che trova il Deposto in un soppalco della Collegiata in un estremo stato di abbandono e con le gambe spezzate. Il 25 luglio del 1953 il parroco della Collegiata di Santa Maria Assunta consegna al funzionario il Deposto per essere restaurato e nel 1959 viene nuovamente riconsegnato ad Amaseno.

Al momento del prelievo dalla Collegiata di Santa Maria Assunta ad Amaseno, la statua si presentava in pessimo stato conservativo dovuto alle numerose cadute di preparazione e di pellicola pittorica attribuibili a condizioni termo – igrometriche non consone alla natura del manufatto artistico e tali da essere concausa di un fortissimo e devastante attacco attivo di insetti xilofagi (tarli).
Un notevole deposito di particolato incoerente (polvere, rosume di tarlo, cadute di pellicola pittorica e preparazione) e coerente (deiezioni d’insetti, polvere grassa, nero fumo..) ingrigiva totalmente tutta la superficie.
Estese ridipinture piuttosto compatte e sciatte coinvolgevano tutto l’incarnato, ma soprattutto i capelli e il perizoma.
All’altezza delle spalle, sul verso, era possibile notare l’inserimento di vari inserti lignei ancorati con staffe composite e numerosi chiodi a testa larga ribattuti, indice di numerosi interventi di restauro piuttosto significativi per la conservazione strutturale dell’opera, ma estremamente invasivi.

Una volta arrivata in laboratorio l’opera è stata sottoposta ad un trattamento di disinfestazione contro gli agenti xilofagi, in atmosfera modificata, confinandola in bolla anossica per diverse settimane.

L’intervento di restauro è stato l’occasione per eseguire una serie di indagini diagnostiche che hanno permesso di ottenere una maggiore conoscenza del manufatto, delle sue vicende conservative e dei sui materiali costitutivi.

Le indagini radiografiche curate da C. Seccaroni e P. Maioli dell’Enea CR Casaccia (RM) hanno contribuito a mettere in luce il sistema di assemblaggio delle porzioni lignee rilevando che tutto il busto, il perizoma e la testa del Deposto sono stati ricavati da un unico pezzo ligneo. La differenza di radio-opacità ha aiutato ad evidenziare i principali livelli di preparazione, originali e non, fornendo un prezioso aiuto per l’individuazione delle porzioni di originale ancora presenti sotto i molti strati di ridipinture.

Sono state effettuate anche indagini per il riconoscimento dei pigmenti, dei leganti e degli strati preparatori, sia dei materiali originali che degli interventi di restauro precedenti, le indagini XRF e FT-IR eseguite dal laboratorio MIDA di Claudio Falcucci hanno permesso di ottenere tutta una serie di indicazioni conoscitive e di supporto per la prosecuzione dell’intervento di restauro. Questo è il caso specifico dell’azzurro del perizoma alterato in nero.

I risultati delle indagini xilotomiche per il riconoscimento delle specie legnose eseguite dalla biologa G. Galotta e dalla restauratrice M.Velanzuela presso i laboratori di restauro dell’ISCR di Roma, dai micro-prelievi eseguiti in varie parti delle porzioni lignee, hanno evidenziato interessanti risultati. I dati hanno rilevato che busto e testa del Cristo sono in legno d’acero, mentre le braccia sono in pioppo. Diversamente, per gli interventi di rifacimento del pollice della mano destra è stato impiegato il legno di castagno.
I risultati delle indagini sono confluiti nell’Archivio delle Identificazioni delle Specie Legnose dei Beni Storico-Artistici (Progetto ArISStArt), una banca dati informatica accessibile on-line realizzata dalla Fondazione Guglielmo Giordano grazie ad una collaborazione tra l’Università degli Studi di Perugia, il CNR-IVALSA (Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree del Consiglio Nazionale delle Ricerche), l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata ed Ecodata.
Sono state effettuate anche delle osservazioni dirette con il microscopio portatile Dino-Lite ad ingrandimenti compresi tra 30 e 250x. In tal modo si è potuto ridurre il numero dei prelievi necessari per le analisi microscopiche.

Grazie al Dino –Lite è stato possibile osservare “macroscopicamente” alcuni dettagli della lamina dorata e delle finiture cromatiche realizzate al di sopra presenti in prossimità delle raffinate bordature del perizoma

Le prime operazioni di restauro e conoscitive condotte sul Deposto sono consistite nei saggi stratigrafici e di pulitura per individuare le cromie originali e i vari livelli di preparazione e di ridipintura condotti nel tempo.

A tale scopo ci si è avvalsi di miscele solventi e complessanti opportunamente supportate al fine di non interferire con i materiali originali dell’opera, ma anche allo scopo di condurre il più possibile una pulitura selettiva e critica. La pulitura è stata infine condotta e rifinita mediante bisturi e con l’ausilio di lenti d’ingrandimento.
I risultati ottenuti hanno evidenziato la presenza di una cromia originale che, seppur estremamente lacunosa e in molte zone fragile, recava un livello tecnico ed esecutivo estremamente prestigioso e ricco.

In accordo con la Direzione dei Lavori si è deciso di recuperare l’originale che seppur lacunoso risultava estremamente ricco di informazioni sia tecniche che estetiche: l’impiego di una tavolozza pittorica qualitativamente ricca (cinabro, azzurrite, oro..); la punzonatura dell’oro sul perizoma e, non ultimo, il modellato e la resa cromatica dell’insieme.
Si è deciso pertanto di condurre una sorta di “restauro archeologico”, trattando la scultura come una “reliquia”, recuperando la sua integrità e unicità conferita proprio dalla “preziosità” dell’originale, nonostante le oramai “immodificabili” manomissioni strutturali.

Sapendo che la destinazione finale del Deposto sarebbe stata una teca climatizzata che lo preservasse da attacchi d’insetti xilofagi e soprattutto dal deposito di particolato incoerente (polvere), per conferire alla scultura un aspetto che fosse rispettoso di quanto di originale restasse, in accordo con la Direzione dei Lavori, si è deciso di condurre un’integrazione plastica ed estetica che mirasse a valorizzare le porzioni di originale emerso a seguito della pulitura critica, riducendo al minimo le integrazioni, concentrandosi, quindi, nella riduzione di tutte le discontinuità cromatiche e, solo in un secondo momento, nell’integrazione plastica di quelle lacune che per collocazione, tono e forma avrebbero mostrato un eccessivo squilibrio dell’insieme.
Con colori a vernice è stato possibile attutire tutte le discontinuità cromatiche dovute alla presenza di più specie lignee adottate per i rifacimenti delle varie porzioni mancanti (mani, piedi, spalle) e degli inserti.
Una volta ottenuto un “ordine cromatico” dell’insieme, sono state attentamente valutate le lacune da risarcire cromaticamente con tecnica riconoscibile a “puntinato”.

Committenza: MiBACT – Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Lazio
Proprietà: Collegiata di santa Maria Assunta – Amaseno – Diocesi di Frosinone, Veroli, Ferentino
Finanziamento: Fondi MiBACT – Intervento di somma urgenza
RUP: Soprintendente Dott.ssa Anna Imponente
DL: Dott. ssa Alessandra Acconci – S. BSAE – Lazio
Direzione Operativa: Rest. BB. CC. Alessandra Percoco – Ing. Maurizio Occhetti
Responsabile della Sicurezza: Arch. Marco Ingenito
Documentazione fotografica: 
Cristiana De Lisio – CONSORZIO RECRO
Indagini Scientifiche: indagini diagnostiche (XRF – FT-IR) a cura di M.I.D.A. di Claudio Falcucci; indagini xilotomche a cura di Dott.ssa Giulia Galotta e Rest. BB.CC. Marisol Valenzuela – ISCR; indagini radiografiche a cura di P. Maioli, C. Seccaroni e A. Tognacci presso i laboratori ENEA CR Casaccia (RM)
Trattamento Anossico: Artecontrol – servizio per la tutela e la conservazione dei Beni Culturali e Civili, supervisione e consulenza di Gianfranco Magri – tecnologia di disinfestazione anossica Zero2 brevettata dalla C.I.A.R.T. S.r.l.

RECRO s.r.l.
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